Riceviamo e pubblichiamo: lettera aperta al Ministro per la Pubblica Amministrazione
LETTERA APERTA AL MINISTRO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, AVV. GIULIA BONGIORNO
La sua riforma della Pubblica Amministrazione sembra solo un concreto esercizio di demagogia.
Nel leggere da “Il Messaggero” di sabato 17 novembre, la Sua intervista e il resoconto del giornalista circa la Sua riforma c’è da essere preoccupati per l’ennesimo Ministro della Pubblica Amministrazione che asseconda pregiudizi, gusti e orientamenti che non hanno la minima attinenza con la realtà lavorativa di chi presta servizio nello Stato.
Lei, come del resto chi l’ha preceduta in questo ruolo, essendo evidentemente poco informata della complessa realtà lavorativa della Pubblica Amministrazione, non si è preoccupata di acquisire una reale conoscenza di cosa sia l’attività nel pubblico impiego, e così, dando credito alla sistematica negativa propaganda mediatica, ha impostato l’ennesima riforma su criteri ispirati a principi punitivi.
Costituisce dato certo e non solo statistico, che l’attività che qualifica le varie amministrazioni statali non è materia d’apprendimento universitario, essa invece, è un processo costante di acquisizione di procedure legate all’applicazione di norme in continua evoluzione che viene trasmessa, da impiegato ad impiegato, nell’esercizio delle competenze di ciascuna Amministrazione.
Qualcuno può obiettare su questo andamento, che può definirsi casalingo, e ribattere precisando che oggi la formazione annuale è alla base della professionalità.
Bene è vero, ma nessuno dice che non tutti gli impiegati riescono per varie ragioni ad accedervi.
Rappresenta, inoltre, un altrettanto elemento certo l’empiricità dei dati sulla consistenza degli organici e dell’effettivo fabbisogno di personale.
Per di più, desta una preoccupante perplessità la reiterata intenzione di non voler ficcare il naso nelle questioni riguardanti il personale contemplato nell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a proposito del quale accettate senza battere ciglio ciò che vi propinano le rispettive organizzazioni sindacali.
Dalla lettura attenta del Suo disegno di legge recante “Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo”, emerge un quadro dove sembrerebbe che tutto funzioni tranne la presenza del dipendente pubblico.
Non è così Signor Ministro! Le chiedo, su quali dati certi ha basato il Suo DDL?
Per esempio ha proceduto ad un accurato accertamento circa lo stato della piena digitalizzazione delle attività in capo a tutte le amministrazioni statali?
Se non l’ha fatto, lo faccia, perché le spese di funzionamento si determinano in base alla effettiva consistenza numerica degli organici, che a sua volta è determinata dal completamento dell’informatizzazione di tutte le attività delle amministrazioni pubbliche.
Si sorprenderà se, proseguiamo con gli esempi, il Ministero dell’interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, un settore dove Ella non vuole ficcare il naso, non ha ancora terminato il processo di informatizzazione delle proprie attività non solo d’istituto, ma anche quelle previste dall’articolo 36 della legge 121/81, per la quota parte assegnata al personale appartenente ai ruoli dell’Amministrazione civile dell’Interno.
Su questa specifica situazione, va altresì segnalato che, le varie Amministrazioni Statali si dotano di computer sempre più obsoleti rispetto alle necessità operative; inoltre, pur avendo nei propri organici esperti informatici conoscitori delle attività amministrative, patrimoniali, contabili e contrattualistiche, preferiscono affidare a soggetti esterni la redazione dei programmi che dovrebbero assorbire informaticamente le attività che prima erano manuali; ma in molti casi, però, si è dovuto stabilire contrattualmente una remunerata manutenzione dei programmi perché i loro progettisti ignorando il completo iter burocratico non sono riusciti ad informatizzare alcuni passaggi delle procedure.
Lei si sta occupando di un settore devastato da una congerie di norme che trovano il massimo della loro espressività nell’articolo 52 del D. Lgs. 165/2001, dove lo svolgimento delle mansioni superiori non dà il diritto a essere inquadrati nel corrispondente livello funzionale.
Da avvocato non dovrebbe sfuggirLe l’aberrazione di uno Stato che si dota di norme lesive di diritti soggettivi e che, nel perpetrare il compimento di ingiustizie, non bandisce concorsi per assumere dirigenti, ma prelevando le risorse dai già esigui fondi destinati al cosiddetto salario accessorio, si remunera chi è investito, non si sa con quale criterio, di posizioni organizzative: sinonimo nemmeno tanto elegante di svolgimento di mansioni superiori al livello direttivo.
Signor Ministro, deve altresì sapere che questo Stato, indegnamente rappresentato dalle varie compagini governative espressioni di partiti politici estinti o in via di estinzione, per anni ha assunto il personale procedendo a concorsi o chiamate dirette per livelli bassi di inquadramento e per qualifiche funzionali spesso non corrispondenti al reale fabbisogno, per cui se vuole indagare direttamente e non per relata refero, scoprirà che vi sono molti dipendenti altamente professionalizzati nella materia di cui hanno solo la responsabilità delle funzioni ma non la titolarità perché appartenenti ad una qualifica funzionale diversa.
I Ministeri hanno proceduto nello svolgimento delle loro attività utilizzando personale che, pur non avendo qualifica specifica, ne aveva la capacità, e tale personale non ha mai visto compensare l’impegno a volte volontariamente offerto a volte preteso.
Circa poi le attività operative del Nucleo della Concretezza è lecito nutrire più di un dubbio; perché, seppur si volesse dare credibilità alle intenzioni che motivano la Sua istituzione, dovremmo essere certi che le cinquantatré unità che lo compongono siano funzionari dello Stato che conoscono perfettamente lo scibile amministrativo, patrimoniale, contabile e contrattualistico in capo a ciascun Ministero e pertanto in virtù di questi requisiti garantirebbero uno svolgimento di compiti sicuramente attendibile; diversamente qualche dubbio circa la riuscita di questa previsione è lecito nutrirlo.
Prevedere poi all’articolo 60-ter che “il Prefetto possa segnalare al Nucleo della Concretezza eventuali irregolarità dell’azione amministrativa degli enti locali e chiederne l’intervento, potendo, in tal caso partecipare ai sopralluoghi e alle visite anche personale della Prefettura richiedente” si raggiunge l’iperbolica circostanza per la quale, parte del personale delle prefetture che dà effettiva concretezza all’azione del Prefetto ha il rapporto giuridico d’impiego escluso dalle previsioni dell’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Se alla base delle Sue recondite, ma non troppo, intenzioni c’è la demolizione della Pubblica Amministrazione, a favore di un unico Ministero, l’idea del concorsone o del concorso unico è perfettamente funzionale.
Ma se le cose non stanno così, visto che è la Costituzione a qualificare le diverse e plurime competenze dei vari ministeri, non si capisce come quell’obiettivo posto alla base dell’articolo 4 possa essere perseguito; sempre con riferimento all’articolo di giornale di cui sopra, non può essere trascurata la previsione per la quale le Regioni potranno aumentare il numero di assunzioni rispetto a quelle a cui avrebbero diritto; testualmente si legge, ma ancora non viene da Lei smentito: “Un discorso a parte, invece, vale per le Regioni, che hanno una loro autonomia. Per quelle però, che sceglieranno di reclutare dipendenti e dirigenti con il concorso unico, potranno aumentare il numero delle assunzioni rispetto a quelle a cui avrebbero diritto”.
Sarebbe opportuno e interessante sapere cosa faranno le Regioni, che aderiranno al concorso unico, con quell’esuberante numero di personale?
Signor Ministro, ma i Prefetti, i Questori, i Generali, gli Ambasciatori, i Magistrati, i Dirigenti Generali prendono i voti?
Sì mi riferisco ai voti della “pagella” previsti dal suo disegno di legge e la domanda non è impertinente, Ella ricorderà certamente la tragedia di Rigopiano.
Da ultimo un paio di suggerimenti. Da più parti vengono lamentati i ritardi per i quali lo Stato attraverso la sua Pubblica Amministrazione non paga o paga con ritardo i servizi e i beni che ha acquistato.
Forse non tutti sanno che per un rituale di natura contabile, ogni inizio di anno ciascun dicastero di spesa in base alle entità degli impegni, con vari decreti a scalare di delega di firma dal Ministro fino all’ultimo dirigente, brucia almeno tre mesi di tempo per dare completezza e operatività alla trafila delle responsabilità.
Questa decisione puramente contabile era necessaria quando, in presenza di governi cosiddetti balneari ovvero della durata pressoché annuale, cambiavano ministri e alti dirigenti; ma se un governo ha consistenti probabilità di durare per l’intera legislatura questa ripetizione annuale della delega della firma risulta una pura perdita di tempo che sommata all’inattività estiva significa che lo Stato per circa quattro mesi non immette liquidità sul mercato interno.
Infine, una nota di cultura.
Da giurista conosce certamente Luigi Einaudi, grande economista piemontese e secondo presidente della Repubblica Italiana, che nella più famosa delle sue Prediche inutili poneva una domanda che ancora oggi è fondamentale per ogni buon legislatore: “Come si può deliberare senza conoscere?”
La sua risposta era netta: è impossibile. “Le leggi frettolose partoriscono nuove leggi intese ad emendare, a perfezionare; ma le nuove, essendo dettate dall’urgenza di rimediare a difetti propri di quelle male studiate, sono inapplicabili, se non a costo di sotterfugi, e fa d’uopo perfezionarle ancora, sicché ben presto il tutto diventa un groviglio inestricabile, da cui nessuno cava più i piedi (…)” La valutazione è lo strumento che, senza sostituirsi alla decisione politica all’interno del circuito democratico, consente al legislatore di conoscere e quindi deliberare, adottando decisioni informate e consapevoli. L’obiettivo della valutazione non è influenzare il decisore politico, ma renderlo edotto delle conseguenze delle proprie scelte, promuovendo la conoscenza e la trasparenza di informazioni fondamentali per il processo decisionale. Quindi: “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”.
Spero, che avrà avuto modo di leggere queste riflessioni e che possa quindi trarne lo spunto per una riforma veramente rivoluzionaria, dove, oltre ai titoli, il personale si vedrà riconosciuto il possesso di oggettive capacità e comprovati requisiti di esperienza professionale. Pertanto, La invito ad abbandonare il solco tracciato dai Suoi predecessori e scegliere un nuovo percorso, più consapevole tale che si possa dire che veramente il buongiorno si vede dal mattino.
Cordialmente.
IL CAPO DIPARTIMENTO
AFFARI LEGISLATIVI – CEUQ
Domenico Pavone
22 novembre 2018